La legge Per la vita indipendente in Emilia Romagna va contro i diritti delle persone con disabilità ?

L’articolo 19 recita:

 

Gli Stati Parti della presente Convenzione riconoscono l’uguale diritto di tutte le persone con disabilità di vivere nella comunità, con scelte uguali agli altri, e adottano misure efficaci e appropriate per facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di questo diritto e la loro piena inclusione e partecipazione nella comunità, anche assicurando che:

 

a) le persone con disabilità hanno la possibilità di scegliere il loro luogo di residenza e dove e con chi vivono su base di uguaglianza con gli altri e non sono obbligate a vivere in un particolare accordo di vita;

b) Le persone con disabilità hanno accesso a una serie di servizi di supporto domiciliare,

residenziale e di altro tipo, compresa l’assistenza personale necessaria per sostenere la vita e l’inclusione nella comunità e per prevenire l’isolamento o la segregazione dalla comunità;

c) I servizi e le strutture comunitarie per la popolazione generale sono disponibili su base paritaria per le persone con disabilità e rispondono alle loro esigenze.

 

Nei progetti di vita a Parma (quelli finanziati dal pnrr) almeno non è tutto da buttare via per esempio una cosa che può andare in ossequio alla crpd:

Il percorso per l’autonomia cioè lezioni da seguire per la persona per aumentarne l’autonomia

 

Le anomalie sono molte:

Nel punto A le persone con disabilità hanno la possibilità di scegliere con chi e dove vivere; quindi, la persona dovrebbe partecipare all’UVM (Unione valutativa Multidimensionale ), non a cose fatte per dire se il suo piano va bene o male, ma anche aiutare a scrivere il piano stesso per avere le sue volontà effettivamente scritte nel piano.

La volontà di una persona con disabilità dovrebbe essere al centro anche dello spesometro dei fondi per la loro vita, ma non è così perché prima si decide dove andare a fare vivere la persona e la persona deve solo accettare, ma nel commento generale dell’articolo sopracitato al punto 16 comma c’è scritto:

Né le istituzioni su larga scala con più di cento residenti né le case di gruppo più piccole con da cinque a otto individui, né le case individuali possono essere chiamate accordi di vita indipendente se hanno altri elementi di definizione delle istituzioni o dell’istituzionalizzazione.

 

Sebbene le impostazioni istituzionalizzate possano differire per dimensioni, nome e impostazione, ci sono alcuni elementi di definizione, come la condivisione obbligatoria degli assistenti con gli altri e nessuna o limitata influenza su chi si deve accettare assistenza; isolamento e segregazione CRPD/C/GC/5 5 dalla vita indipendente all’interno della comunità; mancanza di controllo sulle decisioni quotidiane; mancanza di scelta su chi vivere; rigidità della routine indipendentemente dalla volontà e dalle preferenze personali; attività identiche nello stesso luogo per un gruppo di persone sotto una certa autorità; un approccio paternalistico nella fornitura di servizi; supervisione delle disposizioni abitative; e di solito anche una sproporzione nel numero di persone con disabilità che vivono nello stesso ambiente. I contesti istituzionali possono offrire alle persone con disabilità un certo grado di scelta e controllo; tuttavia, queste scelte sono limitate a specifici settori della vita e non cambiano il carattere segregante delle istituzioni. Le politiche di deistituzionalizzazione richiedono quindi l’attuazione di riforme strutturali che vadano oltre la chiusura dei contesti istituzionali. Le case di gruppo grandi o piccole sono particolarmente pericolose per i bambini, per i quali non vi è alcun sostituto per la necessità di crescere con una famiglia. Le istituzioni “familiari” sono ancora istituzioni e non sostituiscono l’assistenza da parte di una famiglia; quindi le proposte di vita indipendente sarebbero con detto comma fuori legge perché si va a vivere in un gruppo apparentamento.

Si dovrebbe inoltre dare a seconda delle fragilità della persona un assistente che lo aiuti nelle sue attività quotidiane ove non sia possibile arrivare con l’autonomia e che sia scelto in libertà dalla persona con disabilità, e mettere anche le persone. con disabilità intellettiva di scegliere la via migliore per la loro crescita.

 

L’Assestment psichiatrico dovrebbe esserci sì ma non subito, ma solo una volta che la persona abbia scelto dove e con chi vivere per vedere se l’intervento funziona ed effettivamente o e da cambiare qualcosa, perché se fatto all‘inizio potrebbe influenzare la sfera di decisionalità, magari anche assegnando anche un amministratore di sostegno in alcune parti, non andando verso una reale vita indipendente ma solo una vita autonoma. Vita autonoma che si configura anche nel fatto della compartecipazione economica in quanto i servizi, nella quasi totalità dei casi, non sono in grado di trovare un lavoro che soddisfi i requisiti minimi per una vita totalmente indipendente alla persona con disabilità in quanto i lavori sono pagati poco e non possono essere da soli al sostentamento della vita indipendente della persona stessa.

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