Prefetto al Gadda Fornovo, la Shoah riguarda tutti non solo gli ebrei
Lunedì 30 gennaio, con la presenza del Prefetto Giuseppe Forlani e l’Amministrazione Comunale, all’Istituto Scolastico Gadda di Fornovo è stato celebrata la giornata della memoria.
Due ore con gli studenti dell’Istituto superiore e degli alunni della terza media Zuffardi per capire il messaggio teatrale e il ricordo di Lina Labadini di Varsi.
L’ombra del silenzio del gruppo Panta Rei di Vicenza, iniziato con la poesia di Primo Levi
e i disegni dei bambini cavie di Terezin, ha ripercorso la drammatica ascesa del Nazismo in Germania, riproponendolo ai nostri giorni in uno scenario ne onirico ne fantasioso.
Dagli allarmi di Anders e Bauman, a una Europa di oggi piena di disuguaglianze e populismi emergenti, dove è confuso e nebbioso il confine tra bene e male, ne esce una esortazione a far uscire il coraggio civico che c’è dentro ognuno di noi, per condannare senza remore “la follia del XX secolo”. Quella di voler estirpare ad ogni i costi la razza semita.
Una follia quella della Shoah che potrebbe ripetersi sotto altre forme, come ha ricordato il Prefetto, citando il recentissimo libro di Elena Loewenthal dal provocante titolo ma non troppo “Contro il giorno della memoria”, per chiedere il diritto all’oblio.
Dopo le letture di Tommaso Arpiosi 4b, Mara Bricoli 4c e Marva HadjAmeur 4c dei ringraziamenti di Liliana Fargion al paese di Varsi, avvenuta lo scorso novembre per aver salvato lei e la sua famiglia ebrea dalle milizie fasciste, l’aula magna dell’Istituto ha trattenuto il respiro nell’ ascoltare il commosso ricordo di Lina Labadini, il cui padre Francesco è stato recentemente insignito della medaglia d’oro di Giusto tra le nazioni per aver salvato insieme ad altri, la famiglia di Liliana Fargion.
Bejaoumi Marouen e Baraoumi Mariem studenti l’istituto, hanno ricordato la figura di Pellegrino Riccardi, iscritto il 26-12-1988 nei libro dei Giusti di Gerusalemme, per aver salvato dalla deportazione la famiglia ebrea Vigevani.
Lettera di ringraziamento di Liliana Fargion, alla Comunità di Varsi, in occasione della consegna della medaglia d’oro “giusti tra le nazioni” a tre famiglie di Varsi e una di Valmozzola, avvenuta il 30 novembre 2016.
Desidero dire due parole per esprimere tutta la mia commozione, la mia gioia, perché questo giorno tanto atteso, finalmente è arrivato.
Con la cerimonia di oggi rendiamo onore alla memoria di persone straordinarie che negli anni della guerra a rischio della propria vita e di quella dei loro cari, hanno ospitato la mia famiglia Fargion-Treves composta di dodici persone nelle loro case, proteggendoci, nutrendoci, adoperandosi per farci avere dei documenti falsi e per fare da tramite con i parrocchiani, fino alla frontiera Svizzera.
In questa giornata, rendiamo merito anche a tutta la popolazione di Varsi di allora, che pur essendo a conoscenza della nostra presenza nella zona ha mantenuto rigorosamente il segreto, tessendo una vera e propria rete di protezione intorno noi, fino alla nostra salvezza.
I miei primissimi ricordi risalgono a quando avevo tre anno e mezzo, prima dell’8 settembre. Allora ero con la mia famiglia a Salsomaggiore nella pensione Daccò, ancora ignara della tragedia che li a poco sarebbe successa.
Ma fu una breve periodi felicità perché subito dopo quella data la mia vita cambia, drasticamente, e mi trovo dentro una realtà che faticavo a comprendere, dove il silenzio, la solitudine e il buio, mi venivamo continuamente imposti dai miei genitori, che disperati non sapevano come farmi capire quello che stava succedendo, che delle persone volevano prendermi, il significato della guerra.
Ne presi faticosamente coscienza attraverso gli eventi drammatici che si verificavano si subito dopo.
Da casa di Francesco Labadini, il nostro primo salvatore dove rimanemmo a lungo, ma che dovemmo abbandonare perché i fascisti erano già sulle nostre tracce, al casolare dei Cordani dove una sera vennero a cercarci i fascisti, e non facendo in tempo nascondersi rimanemmo impietriti dal terrore al primo piano, mentre giù in cucina si compiva il nostro destino. Solo il sangue freddo di Celestina Cordani che li rassicurava di non sapere niente di noi, e un provvidenziale fiasco di vino, portato dalle due figlie dei Cordani, che un bicchiere dopo l’altro finì per ubriacarli, scongiurarono l’ispezione che volevano fare al piano di sopra.
Ma, tornarono i fascisti, il giorno dopo, insospettiti proprio da quel fiasco di vino, e vollero vedere tutto, il solaio, il granaio, tutto quanto. Nella notte stessa, noi però, eravamo già stati trasferiti nella sacrestia di Don Ubaldo Magistrali, dove i fascisti vennero a cercarci, mentre noi eravamo nascosti nel sottotetto della Chiesa.
E infine, l’ospitalità nella baita innevata di Guido Croci dove una notte morì nonna Sarina, la mamma di mio padre. Ricordo i pianti, le preghiere di nonno Elia, di mio padre Fargion, la ricerca di un lenzuola per avvolgere il corpo della nonna, come vuole la tradizione ebraica, il seppellirla davanti alla soglia, subito dopo la soglia, prima che albeggiasse, che qualcuno potesse vederla.
Sono eventi che non posso dimenticare, che mi hanno sempre seguito nella vita, eppure, proprio in quei drammatici momenti, nonostante la mia giovane età, sentii crescere dentro di me un sentimento nuovo, inedito, la gratitudine verso quelle persone che avevano preso a cuore il nostro destino, e lottavano per noi, una sensazione che non mi ha mai abbandonato. La loro silenziosa presenza, il loro esempio di generosità e di altruismo, non sono mai svaniti da allora, mi sono sempre stati di insegnamento nella vita e mi hanno accompagnato, passo dopo passo nel corso vita.
Per ricordare questi avvenimenti e le persone che ci hanno salvato, nel 1994 scrissi il mio primo libro autobiografico “con occhi di bambina”. Ma, più il tempo passava e più si assottigliava davanti a me, più prendevo coscienza che non era ancora sufficiente. Sentivo forte l’esigenza che questa storia avesse finalmente un degno epilogo, e che i nomi di coloro che ci hanno salvato, fossero incisi nel “libro dei giusti” di Yad Vashem di Gerusalemme, e brillassero per l’eternità insieme ai nomi di coloro che negli anni più abietti del XX secolo hanno lasciato eroica testimonianza, che fanno onore al genere umano, e fanno sperare in un mondo migliore.
Grazie Varsi